Aboliamo gli intellettuali a vita

Nel giorno in cui passa la prima lettura della riforma istituzionale che prevede l’abolizione dei senatori a vita, a Roberto Saviano viene negata la qualifica di scrittore a vita. Tra i vari habitat nei quali si può trovare lo scrittore, le fiere del libro sono quelli di elezione, lì lo scrittore si trova immerso nella fonte stessa della sua aura.

Questo tipo di manifestazioni si dividono in due sottocategorie: fiere nazionali, con tanto di presenze istituzionali e con annessa funzione di “rappresentanza” nei confronti del proprio paese e manifestazioni stagionali o d’occasione, sino al livello minimale delle semplici “presentazioni” con o senza firma-copie. Essere su un palco a parlare di se stesso rappresenta il senso della vita per un intellettuale, sia dal punto di vista emotivo che economico. A ciò si aggiunga il fatto che nel caso dell’intellettuale, che è sempre scrittore, o dello scrittore, che per forza di cose è sempre intellettuale soprattutto dalla fine dell’Ottocento in poi, la maschera si è saldata in maniera definitiva al volto, non può più togliersela, nemmeno a casa, nemmeno nelle circostanze più semplici della propria quotidianità, e ciò comporta la necessità di nutrirsi di quelle situazioni in cui la maschera può parlare pensando di essere il volto giacché la vita ci ricorda in quasi ogni momento che è il volto quello con cui siamo nati. Meno fiere, meno inviti, meno presentazioni, meno interviste, meno televisione: più angoscia; sino ad arrivare al paradosso assoluto della maschera di cui non si accorge nessuno, cioè del dramma dell’intellettuale misconosciuto. Ma non è il caso di Roberto Saviano, scrittore regionale di fama mondiale, giunto ormai al grado zero dello scrittore, cioè di colui che parla della propria intimità come specchio dell’essere umano, perché è questa la vera intenzione del suo ultimo libro Noi due ci apparteniamo: usare realtà sociali regionali come specchio del mondo come specchio di sé, senza lasciare nulla di non detto, senza sottrarsi alla puntuale descrizione di nulla, infatti il libro parla di come i camorristi concepiscono il sesso: in modo patriarcale naturalmente. Quel sant’uomo di Mauro Mazza, Commissario straordinario del Governo, ha pensato bene di non includere Saviano tra gli scrittori che rappresenteranno l’Italia, paese Ospite d’onore per l’edizione 2024. Su Scurati, il Gimondi della situazione, ci sono voci contrastanti e non si capisce bene se non sia stato incluso, se abbia rifiutato o se sia stato già invitato in un altro padiglione, ma probabilmente il pubblico della manifestazione non dovrà rinunciare né a Saviano, il Moser delle storie di camorra, né a Scurati, in quanto in entrambi i casi pare che il clima di civiltà che si respira in Germania grazie al governo di sinistra, consentirà loro di ricevere una wild card e anche questa volta potranno essere presente a rappresentare al pubblico la loro visione della vita e a dire che in Italia c’è il regime. Negli anni in cui c’è la Sinistra al governo il rischio di censura esiste in quanto l’opposizione di destra potrebbe instaurare il regime da un momento all’altro e quindi bisogna dirlo; negli anni in cui c’è la Destra al governo la censura viene esercitata e quindi bisogna dirlo a maggior ragione. Evidentemente quando un intellettuale parla di “censura” sta usando una metafora. Il livello simbolico, il livello della maschera, governa sempre, e giustamente, le loro parole ed è per questo che quando dicono: “Vogliono zittire gli intellettuali”, in realtà stanno dicendo: “Vogliono zittire me” ma, allo stesso tempo, stanno anche dicendo che tutti quelli che verranno invitati saranno degli scarsi, intellettuali inferiori agli esclusi, scrittori di secondo piano. Sì perché bisogna accogliere il migrante e il diverso ma non l’intellettuale concorrente, con lui bisogna fare come il disinfestatore del Pasto nudo, spruzzare un po’ di polvere gialla e vederlo agonizzare sotto il frigorifero. Questo eterno tentativo di stabilire una gerarchia al vertice della quale ci sono io, è la parte prosaica della vita degli intellettuali ma molto spesso raggiunge una tale intensità da dare l’impressione che lo scritto non sia altro che un mero strumento per imporre la propria Volontà di potenza, da far poi sedere per il tramite del proprio corpo sulle poltrone degli studi televisivi. Ecco perché Dante Virgili era un grande scrittore, perché usava la scrittura per annullarsi. Ed ecco perché Roberto Saviano non è un grande scrittore, è un personaggio mediatico, è un giornalista che si occupa di cose regionali e ci fa libri invece di articoli. In realtà lo sanno tutti ma quando, raramente, succede qualcosa che mette in luce questa verità, come nel caso della sua mancata convocazione da parte delle case editrici e non di chissà quale complotto meloniano, alla nazionale della Buchmesse, bisogna dire che in Italia c’è il regime, si vede che è il regime degli editori. Ma l’implicito insulto per coloro che, invece, andranno a rappresentare l’Italia e si asterranno dal: “Non c’è Saviano, non vado neanch’io”, verrà restituito come la Meloni con De Luca o ci si limiterà a covare rancore per tutta la vita come fanno di solito gli intellettuali?

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