Le differenze antropologiche tra le persone di destra e quelle di sinistra sono molte, tra queste una delle più vistose consiste nell’incapacità di alcune persone di destra di approvare l’operato di chi oggettivamente segna un punto a favore della propria squadra, è il non saper vincere.
La persona di destra ha ideali talmente alti ed ha criteri di disciplina talmente stringenti che assolutizza l’imperfezione e gioca sempre a trovare “chi ha tradito”. Si tratta di una variante del “Paradosso del conservatore”, quello per il quale ci sarà sempre qualcosa di antecedente che era meglio. A Sinistra questo problema c’è ma ha un’altra forma: la scuola marxista ha provveduto accuratamente a eliminare i non-allineati sino ad annullare ogni criterio di giudizio; Stalin era buono anche quando ammazzava milioni di contadini e le Brigate rosse erano dei fascisti. Ecco perché alcuni non riescono a capire la portata di ciò che ha fatto Tucker Carlson. Non mi sto riferendo soltanto all’intervista a Putin, i cui contenuti non rappresentano motivi di grandissima novità, ma al fatto che un giornalista licenziato dalla Fox si sia messo a fare cose per conto proprio, le abbia messe su una piattaforma social e si sia mangiato i media americani in meno di un anno. Non capire la portata rivoluzionaria di questa cosa significa non intendersene di media, poco male (o molto male, dipende). Le obiezioni sul fatto che non abbia fatto “le domande giuste” è francamente patetica. Carlson non ha chiesto a Putin dei centri di ricerca sui virus in Ucraina, non gli ha chiesto del traffico di organi e di bambini in Ucraina, ma allora non gli ha neanche chiesto di Hunter Biden che lavorava per imprese ucraine, dei fondi alla famiglia Biden e delle triangolazioni finanziarie Usa-Ucraina-Usa. Non aver fatto queste domande non fa di Carlson un “nemico” e nemmeno uno che non ha il coraggio di saltare nel cerchio di fuoco, semmai è pensare questa cosa che indica qualche problema caratteriale in chi la pensa. Ma veniamo invece a quelle che sono critiche molto più precise e molto più acute, critiche che provengono proprio dal cuore del mondo dei media. Kit Knightly sul Guardian sostiene che Tucker Carlson rappresenti senza dubbio una novità dirompente ma non per quanto riguarda il rapporto tra verità e media bensì per quanto attiene i nuovi assetti comunicativi. Lui da solo fa più ascolto di tutti i grandi media americani di notizie, ma anche qui non possiamo non considerare che la televisione non la guarda ormai più nessuno. San Remo fa il 70% di share perché chi ancora guarda la televisione è gente che non vede l’ora di vedere San Remo e lo stesso vale per i telegiornali. Tuttavia in termini assoluti televisione e giornali non rappresentano più il canale principale di costruzione dell’opinione pubblica. Knightly avanza l’ipotesi che Carlson non sia un elemento di rottura ma sia in realtà colui che la Fox ha volutamente mandato sui social per controllare tramite esso stesso anche i social. In pratica non si tratta di reale disintermediazione ma di riassetto: chi guidava l’opinione prima adesso si sposta in modo da continuare a guidarla. La prova? I media mainstream invece di ignorare Carlson lo stanno rilanciando fin dall’inizio. Ora, questa prova è molto debole: difficile ignorare uno che fa duecento milioni di visualizzazioni spendendo 1 quando tu ne fai due spendendo 1.000.000, vorrebbe dire perdere definitivamente il treno dei social e quindi diventare riviste di arredamento di nicchia o dei Dagospia su carta. Ma la provocazione è acuta, lasciamo perdere la sua plausibilità. Chi governa le opinioni delle masse non può perdere questo controllo, piuttosto farebbe ammazzare Carlson o lo metterebbe in galera come Assange, e visto che invece lo fanno parlare allora Carlson deve essere per forza d’accordo. Questa tesi è affascinante ma ha un difetto: vale sempre per tutto, e quando una cosa vale sempre per tutto è come il marxismo, significa che spiega i propri errori sempre a posteriori e questo procedimento è un sofisma (una truffa). Se Tucker Carlson sia un agente della Cia (come ha buttato lì Putin) oppure no, non lo sapremo mai, non potremo saperlo mai e quindi è irrilevante. Quello che dobbiamo chiederci è: l’azione combinata di Tucker Carlson e di Elon Musk aumenta lo spazio di azione di coloro che combattono la Buona battaglia e intralcia lo spazio d’azione delle Forze del male? Se la risposta è positiva, bene; se è negativa, avanti un altro. Tutto qui. Il fattore di disintermediazione immesso da Carlson nel sistema dei media si basa sul fatto che il controllo morale dei guardiani del Transumanesimo non avviene più prima ma dopo; l’agenda non è più impostata dall’inizio ma si vede costretta ad inseguire, e ciò è innegabile. Tucker Carlson è un gatekeeper – come Boni del resto? Se lo è non lo sapremo mai e comunque chi se ne frega. Gli elementi oggettivi prodotti da ciò che fa Carlson aiutano la Buona battaglia o favoriscono il piano finanziato da Soros, spiegato da Harari e propagandato da Schwab? Elon Musk, un pazzo che chiama i figli con i numeri, costruisce macchine che non sai dove ricaricare e mette i microchip nei cervelli, aumenta o diminuisce gli spazi di libertà a nostra disposizione? È meglio la sua gestione o quella di Dorsey? Rispondere: “Sono tutti uguali” fa molto macellaio del Testaccio, perché se è vero che sono tutti d’accordo tanto noi non lo sapremo mai comunque e la nostra azione sarà limitata dal dire sempre che “sono tutti uguali” e quindi noi saremo un macellaio del Testaccio (che vota M5S). Ci sarà chi lo sospetterà per tutta la vita, vivendo male, e chi coglierà le mele quando saranno mature e se le mangerà. Giovanna d’Arco – tradita, venduta e ammazzata dai suoi “amici” – non si chiedeva se Carlo VII fosse o non fosse un gatekeeper, semplicemente afferrava lo stendardo e correva in prima linea.